LA NUOVA NORMALITA’
Inutile girare intorno ai concetti, l’esperienza acquisita dal mondo durante l’esplosione della pandemia legata al COVID-19 ha cambiato per sempre la percezione comune riguardo al concetto di normalità.
Quella che viviamo adesso è una vita molto simile a quella post COVID, ma non la stessa. Quasi tutte le attività hanno riaperto, nonostante alcune, penso soprattutto alle discoteche, abbiano aperture condizionate all’andamento settimanale della curva dei contagi.
E’ abituale vedere in giro gente con la mascherina (per quanto spesso venga indossata ad altezza collo), igienizzarsi continuamente le mani, specie frequentando luoghi più o meno affollati (palestre, locali, attività commerciali), è diventata prassi comune come convivere con le continue notizie date dai TG e quotidiani riguardo alla diffusione del virus.
Soltanto due mesi fa vivevamo in un regime di quarantena, ora, sotto certi aspetti, la reale percezione del pericolo è di molto calata, ce ne possiamo rendere conto osservando la quantità di persone che non presta attenzione neppure alle due o tre regole base per contenere la pandemia.
La normalità adesso è vivere l’anormalità caratterizzata da visivi accessori diventati di uso comune (le mascherine sono spesso griffate come fossero indumenti), ascoltare notizie che un giorno sono ottimistiche e il giorno successivo drammatiche, essere bombardati da continui annunci rispetto a cure definite imminenti ma ancora non arrivate, guerre fra primari, politici che navigano a vista in attesa di soluzione piovute dal cielo oppure dalla scienza. Gli ingressi contingentanti sono una realtà apparente perché certe restrizioni sono soltanto sulla carta.
Se in Europa, da due mesi a questa parte, si parla di COVID-19 soprattutto in termini di conseguenze economiche con il dibattito esteso alla creazione di un Unione Europea che realmente abbia funzione comunitaria, in Nord e Sud America l’emergenza è puramente umanitaria, perché in quelle aree stanno vivendo con mesi di ritardo ciò che noi da tempo conosciamo:
- Elevatissimo numero di contagi giornalieri;
- Conta delle vittime;
Trump e Bolsonaro, rispettivamente presidenti degli U.S.A. e del Brasile, sono le due persone, assieme a Johnson (primo ministro britannico) ad essere stati eretti come simboli della cattiva gestione dell’emergenza.
In un primo momento tutti e tre hanno sottovalutato il problema, sottostimando i dati allarmistici della comunità scientifica, quindi si sono riscoperti in grave imbarazzo di fronte alla loro evidente incapacità di arginare la diffusione del virus nei loro paesi.
Johnson e Bolsonaro hanno contratto a loro volta il virus, ma se il primo ha vissuto il momento riscoprendosi improvvisamente preoccupato dell’evolversi della pandemia, il secondo sta tutt’ora cercando di minimizzar il problema a fronte di un paese, il Brasile, che è costantemente ai primi tre posti nella classifica di quelli maggiormente contagiati.
La normalità europea è diventata il sentirsi liberi di uscire di casa.
La normalità americana è rappresentata dalla paura di essere rinchiusi in casa.
Ad oggi, la situazione è questa.